Le micro- e le nanoparticelle inorganiche non biodegradabili sono capaci di trasformare il fibrinogeno, una proteina solubile nel sangue, in un’altra proteina chiamata fibrina che, invece, è insolubile e forma delle fibre più o meno lunghe che sono la struttura sulla quale si formano i trombi. Queste sono masse più o meno voluminose di sangue parzialmente solidificato che poi migra lungo i vasi. Nel caso in cui il trombo si sia formato in ambito venoso, la massa finisce necessariamente nel circolo polmonare ostruendolo (tromboembolia polmonare) con esiti che possono essere mortali. Se, invece, il fenomeno si verifica nelle arterie, il trombo finisce la sua corsa in qualunque organo. Quando si tratta del cervello la condizione viene chiamata ictus cerebrale. Quando, invece, il bersaglio sono le arterie coronarie, i vasi, cioè, che portano ossigeno al tessuto muscolare del cuore, si parla d’infarto cardiaco. Nella maggioranza dei casi va sottolineato come l’organismo sia capace di produrre sostanze che sciolgono immediatamente la fibrina e, dunque, le patologie appena descritte non avvengono. In quell’eventualità le particelle continuano il loro cammino verso qualunque organo.

Tutti gli organi sono dotati di un microcircolo, cioè di una fittissima rete di vasi arteriosi e venosi di calibro inferiore ai due decimi di millimetro. Se le particelle entrano in quei vasi possono ostruirne il lume e impedire, così, che arrivi ossigeno all’organo interessato o che possa liberarsi dell’anidride carbonica. In una condizione simile il tessuto interessato inevitabilmente muore.