L'attività biologica di un tessuto a contatto con un corpo estraneo dipende sia dal tessuto stesso, che dalla chimica, dalla superficie, dalla forma e dalle dimensioni del corpo estraneo. Pertanto, è piuttosto inesatto definire un materiale "biocompatibile", poiché, nella stragrande maggioranza dei casi, tale definizione tiene conto della sua chimica e, in misura minore, della sua superficie, ma molto raramente della forma che assume quel particolare materiale quando viene trasformato in un dispositivo impiantabile o, in ogni caso, in qualcosa che viene a contatto con un tessuto vivente e ancor più raramente le sue dimensioni. Per essere biocompatibile, un corpo estraneo che viene messo in contatto con un tessuto biologico deve indurre uno specifico assorbimento proteico dalla matrice extracellulare. Esistono molti processi cellulari, che sono innescati dal tipo di proteina adsorbita, dalla sua conformazione e dalla sua attività biologica. Se viene richiesta la presenza di una determinata proteina per garantire una corretta interazione del corpo estraneo, generalmente, ma non esclusivamente, un dispositivo medico impiantabile, con l'ambiente biologico, può essere possibile manipolare la superficie dell'impianto per indurre in anticipo quella situazione. Le cosiddette superfici "biomimetiche" basano la loro attività nel corpo umano su questo concetto. La capacità di progettare un tale sistema è fortemente supportata da biotecnologie e nanotecnologie. Le applicazioni mediche delle nanotecnologie sono già disponibili, ad esempio in odontoiatria, mediante la creazione di nanocompositi per restauri dentali.

Una delle applicazioni più promettenti delle nanoparticelle, a patto che siano biodegradabili, è il loro uso nei prodotti farmaceutici come supporto di rilascio di farmaci per le malattie neurali, in grado di attraversare la barriera ematoencefalica. I nanomateriali possono essere il substrato in cui virus o spezzoni di DNA possono essere incapsulati o smistati.